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Late talkers: il ritardo nell’acquisizione del linguaggio
Angela Zerbino, logopedista relazionale pediatrica con studio a Milano e autrice di giochi didattici adatti dai 6 ai 99 anni pensati per aiutare i bambini a superare le difficoltà di linguaggio e apprendimento.
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Late talkers: il ritardo nell’acquisizione del linguaggio

Late talkers: il ritardo nell’acquisizione del linguaggio

ApertaMente:

“Il mio bambino di 2 anni dice poche parole”

I pediatri e le educatrici del nido si sentono dire questa frase dai genitori che notano, nel loro bambino, una minore padronanza del linguaggio rispetto ai coetanei.

In questo numero di Scioglilingua, faremo luce sui segnali che indicano realmente una difficoltà di espressione, e individueremo gli strumenti utili al bambino nello sviluppo della propria autonomia espressiva.

I dati normativi ci dicono che un bambino di 24 mesi dovrebbe pronunciare almeno 50 parole ed essere in grado di formulare combinatorie (ovvero di unire almeno due parole per formare una frase, tipo “mamma palla!”). Sotto tale soglia, è da considerarsi un parlatore tardivo (LT, late talker).

Questo perché, mediamente, un bambino tra i 24-25 mesi conosce un lessico di circa 300 parole, dove, per parole, intendiamo anche quelle non pronunciate correttamente o i suoni onomatopeici (bau, bum, etc.).

Prima di allarmarsi, è importante che i genitori facciano una lista di tutte le parole che pronuncia effettivamente il loro bambino, e gli diano modo di sperimentare le capacità e le conoscenze di cui dispone, con il tempo che gli occorre.

Parliamo di ciò che si può fare, nelle prime tappe evolutive, per favorire una corretta evoluzione del linguaggio, monitorando nel tempo le nuove acquisizioni.

L”importanza della bocca:

Superata la prima fase di allattamento esclusivo, verso i 4-6 mesi casino online il bambino inizia ad assumere altri alimenti e si interessa alla propria bocca provando gratificazione, sensazioni tattili, di pressione, di calore.

La bocca diventa un formidabile strumento di conoscenza del mondo esterno (quando succhia e morde gli oggetti) e di espressione del mondo interno (quando emette suoni, sillabe, melodie).

Dall”osservazione attenta del nostro bambino possiamo renderci conto se le sue abilità orali sono sufficientemente sviluppate e lo possono sostenere nel difficile compito che lo aspetta: la pronuncia corretta dei suoni della lingua e la sempre crescente autonomia alimentare.

Tra i 2 e 3 anni il bambino inizia a utilizzare la bocca per schioccare le labbra, soffiare sulle candeline,

schioccare la lingua, bere dalla cannuccia; tutte azioni che impara naturalmente quando viene reso autonomo dai genitori.

Più facilitiamo i compiti alimentari al bambino (sbucciando la frutta, togliendo i semi, tritando o cuocendo eccessivamente i cibi) più lo penalizziamo nella sua ricerca evolutiva.

Proporgli invece qualche difficoltà che sappiamo può superare con uno sforzo modesto, lo aiuta a crescere in autonomia e alimenta la sua autostima.

Per favorire le abilità buccali occorre eliminare le cosiddette abitudini viziate entro i 24 mesi. L”utilizzo del ciuccio e del biberon impedisce al bambino di conoscere attraverso la bocca e non permette un adeguato sviluppo del palato e della dentizione.

In questa fase evolutiva sono molto importanti anche le relazioni, l”ascolto, l”esplorazione, il gioco e il racconto da parte degli adulti che gli stanno accanto.

Se il nostro piccolo dimostra qualche difficoltà, non scoraggiamoci, ma forniamogli continuamente l”occasione di fare nuove esperienze.

 

PraticaMente:

Quando mi viene richiesta una consulenza o una valutazione logopedica sui parlatori tardivi (bambini tra 24 e 36 mesi con un lessico al di sotto delle 50 parole) sottolineo ai genitori quanto sia importante, vista la giovane età del loro bambino, iniziare da un percorso di counselling dedicato agli adulti (genitori, nonni, educatrici del nido).

I genitori conoscono meglio di tutti il proprio bambino e il ruolo di un terapista è quello di affiancarli mentre lo guidano verso un”autonomia personale ed espressiva sempre maggiore.

Per questo durante le sedute di logopedia relazionale vengono ricostruiti i primi anni di vita del bambino, le sue abitudini all”interno del nucleo familiare e i contesti sociali e affettivi in cui è inserito.

Successivamente vengono forniti gli strumenti per monitorare le dinamiche in atto (tramite test di valutazione della buccalità e del vocabolario del bambino in comprensione e in produzione) e si valutano insieme gli atteggiamenti che favoriscono l”ampliamento del lessico e il cosidetto appetito del parlare.

Quando il bambino progredisce lentamente anche in un ambiente stimolante e rassicurante, può essere utile effettuare una valutazione del linguaggio o ulteriori accertamenti in vista di una presa in carico logopedica.

I disturbi di voce nei bambini e negli insegnanti

ApertaMente:

L’argomento che affrontiamo oggi su Scioglilingua merita cura e attenzioni particolari, per il ruolo che ricopre nella vita di tutti i giorni: stiamo parlando della voce.

La voce rappresenta il primo e fondamentale strumento di contatto col mondo, anche se spesso la diamo per scontata e ci accorgiamo della sua esistenza solo quando l’abbiamo persa.

Eppure la sua funzione è importantissima fin dal grembo materno e costituisce uno strumento prezioso per lo sviluppo delle capacità cognitive.

Già durante la vita intrauterina, il bambino sente la voce della mamma e delle figure che le stanno accanto ed è in grado di riconoscerle una volta venuto al mondo.

In seguito, quando è ancora molto piccolo e non conosce il significato delle parole, si affida all’intonazione, al volume e al calore della voce umana per decodificare i messaggi.

Attraverso la dinamica instaurata con la mamma, il bambino inizia a comprendere l’importanza dell’ascolto, del suono e degli affetti, poi, con i primi vocalizzi impara a tenersi compagnia, a sperimentare e ad attirare l’attenzione su di sé.

Come ho già detto, la voce svolge nella vita di ogni giorno un ruolo essenziale che talvolta dimentichiamo. Per questo occorre curarla e utilizzarla in maniera corretta, imparando a non abusare di uno strumento tanto delicato dal punto di vista fisico, quanto potente sul piano relazionale.

Quando un bambino presenta disturbi di voce, quindi una voce debole, soffiata o rauca, si pensa normalmente a un fenomeno transitorio dovuto ai luoghi che frequenta.

Si è portati a credere che in ambito sociale (Nido, Scuola Materna, parco, etc) dove talvolta il rumore è intenso, sia normale sforzare la voce per giocare o per farsi sentire.

Eppure le cose non stanno proprio così.

Le nostre corde vocali sono due muscoli molto sottili che in età adulta raggiungono una dimensione compresa tra i 12 e i 23 mm. Questo dato ci aiuta a comprendere che le loro dimensioni, ovviamente ridotte nel bambino, le rendono particolarmente delicate e vulnerabili.

Ecco perché è necessario, fin dall’infanzia, porre particolare attenzione alla qualità vocale del bambino e alle modalità di utilizzo della voce.

Sappiamo inoltre che la scuola è il regno della relazione, dello scambio e dell’incontro. Gli insegnanti sono professionisti della voce poiché la utilizzano come strumento di lavoro, quindi costituiscono per gli alunni un modello da osservare e imitare, anche sotto il profilo vocale.

Talvolta le classi numerose, o le aule scarsamente insonorizzate dai rumori del traffico, non rendono

particolarmente agevole il loro compito, richiedendo alla loro laringe (sede delle corde vocali) e all’intero corpo uno sforzo eccessivo e prolungato.

Le insegnanti che vedo in terapia, infatti, lamentano oltre al senso di fatica e alla mancanza di voce a fine giornata, anche dolori al collo, alle spalle, alla testa. Spesso il problema persiste per giorni nonostante trascorrano in silenzio le ore dopo la scuola.

Dal momento che la voce è uno dei loro principali strumenti di lavoro, un uso appropriato e consapevole della stessa, attraverso semplici strategie e atteggiamenti, porta non solo dei benefici a livello fisico, ma aiuta persino a rendere l’ambiente scolastico meno faticoso.

È bene sottolineare che, quando il disturbo vocale persiste oltre le due settimane, è necessario effettuare una visita specialistica da un otorino o da un foniatra.

In caso di necessità, sarà lo specialista a indirizzare opportunamente dal logopedista per effettuare un ciclo di terapia per disfonia.

 

PraticaMente:

Nella logopedia relazionale, l’approccio alla disfonia è di tipo educativo e non addestrativo. Il paziente viene cioè accompagnato verso una maggiore consapevolezza del proprio corpo, delle proprie posture, del metodo respiratorio e degli abusi che hanno causato il disturbo.

Attraverso semplici spiegazioni e illustrazioni, il logopedista presenta le corde vocali e il loro modo di vibrare, ma anche il diaframma e l’importanza che quest’ultimo ricopre nella corretta emissione vocale.

Attraverso l’approccio logopedico, il paziente inizia a fare proprie le norme di igiene vocale che proteggono la voce dagli abusi, senza bisogno di indossare per questo i panni di uno specialista.

Nell’approccio logopedico relazionale, viene sempre sottolineata l’importanza dell’ascolto, dell’autoascolto e della consapevolezza corporea, per aiutare il paziente a scoprire da solo cosa è meglio per sé.

L’apprendimento della respirazione diaframmatica, l’applicazione delle norme di igiene vocale e gli esercizi di ginnastica delle corde vocali, rendono il paziente protagonista della propria terapia e della risoluzione della propria disfonia.

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