
20 Feb Il disagio relazionale e la difficolta’ di apprendere
ApertaMente:
Ogni anno le scuole rilevano un disagio relazionale sempre più evidente nel comportamento dei bambini. Le difficoltà più comuni riguardano l’apprendimento della scrittura e della lettura, la proprietà di lessico e linguaggio, la capacità di concentrazione e in certi casi l’iperattività.
Ma quanto è preoccupante la situazione? Ci sono davvero tanti bambini in difficoltà o è il paradigma (lo strumento con cui li guardiamo) a farcelo credere?
In questo numero di Scioglilingua affronteremo la questione partendo innanzitutto da fatti oggettivi.
Il Miur, confrontando i dati degli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012 ha registrato un aumento del 37% dei disturbi specifici di apprendimento (DSA) a livello nazionale, con la Lombardia e il Piemonte in testa rispetto alle altre regioni (in un solo anno la percentuale è passata dallo 0,9 % al 1,2% della popolazione scolastica).
Dovremmo chiederci per prima cosa se certe difficoltà (in parte evolutive e che rientrano progressivamente durante la crescita) non siano talvolta una sorta di protesta nei confronti della scuola, o una manifestazione di disagio per pregresse disarmonie affettivo-relazionali, che diventano disturbi di apprendimento dopo l’ingresso del bambino alla scolarizzazione.
Per ottenere risposte concrete, è necessario creare una buona alleanza tra scuola e famiglia, alleanza che negli ultimi anni è sempre più minacciata da genitori iperprotettivi che tacciano gli insegnanti di inadeguatezza professionale, o da insegnanti che faticano a confrontarsi con genitori che ritengono inadeguati sotto il profilo educativo.
La mia esperienza di logopedista relazionale mi conferma che i miglioramenti dei bambini si verificano in presenza di una valida rete di supporto e di una comunicazione efficace tra familiari, insegnanti, terapisti, medici.
Dal dialogo tra insegnanti e genitori, spesso emergono informazioni importanti sulle abitudini o i comportamenti dei bambini fra le mura domestiche. Informazioni che aiuterebbero a decifrare meglio i segnali di disagio a scuola, a partire dal loro atteggiamento a casa.
In particolare, occorre verificare se i bambini:
- hanno problemi di addormentamento
- dormono nel lettone coi genitori
- sono tirannici ed esigenti nei confronti dei genitori, specie con la madre
- si svegliano di cattivo umore
- non sono autonomi nelle routine quotidiana (pulizia, abbigliamento, ordine e alimentazione
- sono aggressivi con fratelli/sorelle
- non sono mai contenti, si lamentano eccessivamente
Allo stesso modo è importante sapere quali sono i giochi preferiti dai bambini, come svolgono i compiti, quanto tempo passano da soli, con gli amici o davanti alla tv.
Raccogliendo le informazioni relative al gioco o alle loro abitudini si può capire se:
- rispettano le regole
- accettano di perdere
- cambiano le regole a proprio vantaggio, durante lo svolgimento del gioco
- scoppiano in collera
- non rispettano i turni per giocare o per parlare
- non tollerano le attese, vogliono subito tutto
- fanno pressione sugli adulti fino a farli cedere
- faticano ad esprimere le proprie emozioni
- presentano turbe psicosomatiche
Attraverso l’analisi dei comportamenti, genitori e insegnanti riescono finalmente a capire se esiste un eventuale scollamento tra emozioni e rappresentazioni, che destabilizza il bambino nelle sue relazioni sociali e di apprendimento.
Di conseguenza riescono a definire più opportunamente il confine tra un disturbo relazionale-comportamentale e un effettivo disturbo di apprendimento.
In effetti: come può il bambino accedere al simbolico (la lettoscrittura appartiene al simbolico per eccellenza, in quanto non esiste nessuna relazione concreta tra un oggetto e il nome che gli corrisponde) se, per le sue pregresse difficoltà non ha potuto sperimentare adeguatamente il gioco motorio, la socialità e il gioco simbolico, prerequisiti indispensabili all’apprendimento della lettoscrittura?
Stiamo assistendo da anni a una medicalizzazione dei disturbi evolutivi: la scuola delega gli specialisti a diagnosticare, ma siamo sicuri che questa sia la strada giusta?
Cosa si può fare di fronte a questo continuo aumento di bambini in difficoltà relazionale, comportamentale e di apprendimento?
PraticaMente:
Al suo ingresso nella scuola Primaria, non sempre il bambino è pronto ad entrare nel mondo dei grandi e ad accettare le regole della lingua scritta.
La mia esperienza di logopedista mi conferma che il lavoro in piccolo gruppo permette di intervenire sulle caratteristiche comportamentali del bambino, e offre a quest’ultimo la possibilità di sperimentare l’apprendimento in un contesto rassicurante e contenente.
La logopedia relazionale affronta le difficoltà di apprendimento in maniera differente rispetto all’approccio logopedico tradizionale, e garantisce al bambino l’accesso graduale al “gioco della lettoscrittura” attraverso tecniche che gli permettono di sperimentarsi con le lettere, partendo da ciò che lui sa e vuole produrre.
La “tecnica di associazione” (T.A.) inventata da Claude Chassagny e largamente utilizzata in logopedia relazionale, rende il bambino protagonista della proprie produzioni, con il terapista che lo affianca e lo supporta nell’esplorazione di un mondo nuovo e sconosciuto.
Attraverso le “autoproduzioni scritte e lette”, il bambino diventa gradualmente consapevole dei propri errori e desideroso di correggerli. Quindi, tramite il gioco, la narrazione e il disegno, in un contesto terapeutico di gruppo il bambino completa l’accesso alla dimensione simbolica, alimenta la propria autostima, utilizza il linguaggio scritto e orale per raccontare e raccontarsi.
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